148° Capitolo
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Domande agli Spiriti e relative risposte. - Da Allan Kardec
PERFEZIONE MORALE
148°Capitolo
Virtù e Vizi
Qual è la più meritoria di tutte le virtù?
Tutte le virtù hanno merito, perché tutte sono segni di progresso nella via del bene. E’ virtù ogni resistenza volontaria agli stimoli delle cattive inclinazioni; ma il sublime della virtù sta nel sacrificio dell’interesse personale per il bene del prossimo, senza secondo fine. La virtù più meritoria è quella che si fonda sulla più disinteressata carità.
Alcuni fanno il bene per moto spontaneo senza dover combattere con sentimenti opposti: hanno essi lo stesso merito di quelli, a cui tocca lottare contro i propri istinti, e riescono a vincerli?
In quelli che non hanno più da combattere, è già compiuto il progresso: hanno già lottato e vinto, e quindi a loro i buoni sentimenti non costano alcuno sforzo, e le buone opere paiono semplicissime: per essi il bene è diventato un abito; devono quindi essere onorati come prodi veterani che si sono acquistati sul campo i loro gradi. Siccome siete ancora lungi dalla perfezione, quegli esempi vi stupiscono per il contrasto, e li ammirate tanto più che sono rari; ma sappiate che nei mondi più avanzati del vostro, ciò che tra voi fa eccezione, è la regola. Il sentimento del bene vi è spontaneo, perché non sono abitati che da buoni Spiriti, e una sola cattiva intenzione sarebbe una singolarità mostruosa. Quindi gli uomini vi vivono felici. Sarà così anche sulla terra, quando l’umanità vi si sarà trasformata e comprenderà e praticherà la carità nel suo vero significato.
A parte i difetti ed i vizi, intorno ai quali nessuno può ingannarsi, qual è il segno più caratteristico della imperfezione morale?
L’interesse personale. Le qualità morali sono sovente come la doratura sopra un oggetto di rame, che non resiste al tocco della pietra di paragone. Qualcuno può essere fornito di qualità reali, che ne fanno, per il mondo, un uomo dabbene; ma queste, benché siano un progresso, non resistono sempre a certe prove e talvolta basta toccare la corda dell’interesse personale per metterne a nudo il fondo. Purtroppo, il vero disinteresse e così raro sulla terra, che, se vi si mostra, lo si ammira come una rarità. L’attaccamento smodato alle cose materiali è un segno notorio d’inferiorità, perché, quanto più l’uomo vagheggia i beni di questo mondo, tanto meno comprende il suo destino, mentre, all’opposto, col disinteresse, prova che egli vede l’avvenire da un punto di vista più elevato.
Ci sono alcuni, che sono disinteressati senza discernimento, e prodigano il proprio senza profitto reale, invece di farne un uso ragionevole: hanno qualche merito?
Hanno il merito del disinteresse, ma non quello del bene, che potrebbero fare. Se il disinteresse è una virtù, la prodigalità spensierata è sempre almeno una mancanza di criterio. La ricchezza non è data né ad alcuni, perché la
gettino al vento, né ad altri, perché la seppelliscano in uno scrigno: essa è un deposito del quale tutti avranno a render conto, poiché dovranno rispondere del bene che potevano fare e non hanno fatto, e delle lacrime che avrebbero potuto asciugare con l’oro dato a chi ne aveva bisogno.
Colui che fa il bene, non per l’idea di una ricompensa sulla terra, ma nella speranza che gliene sarà tenuto conto nell’altra vita, è riprovevole, e un tal pensiero nuoce al suo avanzamento?
Bisogna fare il bene per carità, vale a dire con disinteresse.
Tuttavia ciascuno desidera naturalmente progredire per trarsi dallo stato penoso di questa vita, e gli stessi Spiriti c’insegnano a praticare il bene a questo scopo: è dunque male il pensare che, facendo il bene quaggiù, si starà meglio nel mondo delle anime?
No certamente; ma chi fa il bene senza secondi fini e per solo piacere di essere grato a Dio e al suo prossimo che soffre, è già ad un grado di progresso, che gli permetterà di conseguire l’eterna beatitudine molto prima del fratello, il quale, più positivo, fa il bene per ragionamento, e non è mosso dal bisogno naturale del cuore.
A nostro avviso, qui occorre fare una distinzione fra il bene che un uomo può fare al suo prossimo, e la cura che egli mette nel correggersi dei propri difetti. Comprendiamo come fare il bene col pensiero che ce ne sarà tenuto conto nell’altra vita sia poco meritorio; ma emendarsi, domare le proprie passioni, correggere il proprio carattere per elevarsi, è anche questo un segno d’inferiorità?
Certo che no: per fare il bene intendiamo soltanto esser caritatevole. Chi calcola quanto ogni buona azione possa fruttargli nella vita futura come nella terrestre, opera da egoista; ma egoismo non è il migliorare se stesso per avvicinarsi a Dio, poiché questo è il fine, a cui ciascuno deve tendere.
Se la vita corporale non è che un soggiorno temporaneo sulla terra, e ogni nostra sollecitudine deve appuntarsi nel futuro, è utile l’adoperarsi per acquistare cognizioni scientifiche, che non riguardano se non le cose e i bisogni materiali?
Senza dubbio, in primo luogo perché così vi mettete in grado di aiutare i vostri fratelli, e poi, perché il vostro Spirito salirà più rapidamente, se già progredito in intelligenza. Nella vita erratica si apprende più in un’ora, che in parecchi anni sulla terra. Nessuna cognizione è inutile: tutte contribuiscono più o meno al progresso, perché lo Spirito perfetto deve sapere tutto, e, siccome il progresso deve compiersi in tutti i versi, tutte le idee acquisite servono allo svolgimento dello Spirito.
Di due ricchi, uno è nato nell’opulenza, e non ha mai conosciuto il bisogno; l’altro deve la sua fortuna al proprio lavoro. Ora tutti e due la impiegano esclusivamente a soddisfazione personale. Qual è il più colpevole?
Colui che ha conosciuto i patimenti, perché sapendo ciò che sia soffrire, non allevia i dolori dei suoi simili.
Chi accumula sempre senza far del bene ad alcuno, può avere scusa nel pensiero che lo fa per lasciare di più ai suoi eredi?
E’ un compromesso con la cattiva coscienza.
Di due avari dei quali il primo si priva del necessario, e muore di stento sul suo tesoro; il secondo non è avaro che per gli altri, ma prodigo per sé, mentre rifugge dal più piccolo sacrificio per rendere un servigio e non conosce limiti nel soddisfare i suoi gusti e le sue passioni, quale di essi è più colpevole?
Colui che gode, poiché mostra di essere più egoista che avaro: l’altro ha già pagato una parte del suo castigo.
E’ colpa invidiare la ricchezza per desiderio di fare del bene?
Il sentimento, certamente, sarebbe lodevole, quando fosse sincero; ma questo desiderio è sempre veramente disinteressato, e non cela alcuna mira personale? I primi, a cui vorreste fare del bene in quel modo, non siete quasi sempre voi stessi?
E’ colpa studiare i difetti altrui?
Sì, e molto grave, come mancanza di carità, se per criticarli e metterli, come suol dirsi, in piazza. Può essere utile, talvolta, se per trarne vero profitto con l’evitarli; ma non bisogna mai dimenticare che l’indulgenza per gli altrui difetti è una delle virtù comprese nella carità. Prima di rimproverare agli altri le loro imperfezioni, badate che forse non si possa dire lo stesso di voi. Unico mezzo di rendervi superiori è quello di ornarvi dei pregi opposti ai difetti che condannate negli altri. Li biasimate, perché avari? Siate voi generosi. Perché superbi? Siate voi umili e modesti. Perché duri di cuore? Siate voi pietosi. Perché gretti? Siate voi magnanimi. In poche parole, fate in modo, che non vi si possano applicare quelle parole di Gesù: Scorge una pagliuzza nell’occhio del suo vicino, e non vede il trave nel proprio.
E’ colpa investigare le piaghe della società e svelarne la bruttezza?
Secondo il sentimento che vi muove. Se chi lo fa non tende che a produrre scandalo, pagherà la soddisfazione personale, che si procura col presentare dei quadri, che d’ordinario sono piuttosto cattivi che buoni esempi. Lo Spirito può essere punito dal piacere, che si procaccia svelando il male.
Come giudicare, in tali casi, della purezza delle intenzioni e dalla sincerità dello scrittore od oratore?
Questo per lo più non giova; ma, in ogni modo, se scrive, o dice cose buone, approfittatene; se no, è una questione di coscienza, che riguarda lui solo. Del resto, se egli vuole provare la sua rettitudine, avvalori i suoi precetti col proprio esempio.
Alcuni autori hanno pubblicato delle opere bellissime e morali, che servono al progresso dell’umanità, ma di cui essi stessi non hanno profittato punto. E’ tenuto conto ad essi, come Spiriti, del bene fatto dalle opere loro?
Morale senza applicazione è seme senza lavoro. A che vi serve la semenza, se non la fate fruttificare per nutrirvi? Questi scrittori sono tanto più colpevoli in quanto avevano l’intelligenza per comprendere, ma non praticando le massime che predicavano agli altri, rinunziarono a coglierne i frutti.
Chi opera bene è da riprovarsi, se ne ha coscienza, e se ne compiace?
Come ha coscienza del male che commette, deve avere anche quella del bene che fa, per sapere se agisce rettamente, o no. Solo pesando ogni sua opera nella bilancia delle leggi di Dio, e specie in quella della giustizia, dell’amore e della carità, egli potrà conoscere se l’opera sua sia buona o cattiva; e quindi approvarla, o disapprovarla. Dunque non si può biasimarlo, se sa di avere trionfato delle sue cattive inclinazioni, e ne gode, purché non ne tragga motivo di vanità, evitando così un male, per cadere in un altro.