36° Capitolo - Sapere

Vai ai contenuti

36° Capitolo

Premesse > La Dottrina degli Spiriti > _B_ > Dopo la morte

di Allan Kardec
Domande agli Spiriti e relative risposte. - Da Allan Kardec

Ritorno alla Vita Spiritica
36° Capitolo


L’Anima dopo la Morte: sua Individualità.

Che diventa l’anima nel punto della morte?
Ridiventa Spirito, cioè ritorna nel mondo spiritico, che aveva temporaneamente abbandonato.

Conserva l’anima la sua individualità dopo la morte del corpo?
Sì, non la perde mai, altrimenti, che sarebbe l’anima?.

Come fa l’anima, non avendo più corpo materiale, a riconoscere la sua individualità?
Se non ha il corpo terreno, ne ha uno fluidico, che aveva attinto dall’atmosfera del suo pianeta, e che serba
la figura dell’ultima incarnazione: è il suo perispirito».

Oltre al perispirito l’anima non porta seco nulla di quaggiù?
Null’altro che il desiderio di un mondo migliore e la ricordanza di questo, tutto dolcezza o amarezza secondo le opere della sua vita. Quanto più essa è pura, tanto più comprende la vanità di ciò che lascia sulla terra.

Come si deve intendere l’opinione, secondo la quale l’anima dopo la morte rientra nel Tutto universale?
Che l’insieme degli Spiriti forma un tutto, costituisce un mondo. Quando intervenite a un’assemblea, siete parte integrante di essa, ma tuttavia conservate sempre la vostra individualità.

Possiamo avere prova dell’individualità dell’anima dopo la morte?
E non l’avete forse nelle nostre comunicazioni? Se non siete ciechi, vedrete, e, se non siete sordi, udirete, poiché molto spesso vi parla una voce, che vi rivela l’esistenza di un essere al di fuori di voi.

Kardec: Coloro che pensano che con la morte l’anima rientri nel TUTTO UNIVERSALE, errano, se intendono che a guisa di una goccia d’acqua che cade nell’oceano essa vi perda la sua individualità; dicono il vero, se intendono per Tutto universale l’insieme degli esseri incorporei, di cui ciascun’anima o spirito è un elemento. Se le anime fossero confuse nella massa, avrebbero le qualità dell’insieme; ma nessuna cosa le distinguerebbe l’una dall’altra. Esse mancherebbero d’intelligenza e di qualità proprie; mentre in tutte le comunicazioni ci dànno prova di avere la coscienza dell’io e una distinta volontà; il divario infinito che presentano sotto ogni riguardo è conseguenza di personalità innegabile. Se dopo la morte vi fosse davvero questo gran Tutto assorbitore delle individualità, esso sarebbe uniforme, e allora tutte le comunicazioni di oltretomba riuscirebbero identiche. Ma poiché di fatto ci fanno comprendere che vengono da esseri e buoni e cattivi, e dotti e ignoranti, e felici e infelici, e allegri e malinconici, e seri e leggieri, è chiaro che queste comunicazioni provengono da entità che conservano la loro individualità e la loro coscienza. Questo riesce ancora più evidente quando provano la loro identità con segni incontrovertibili e con particolarità personali della loro vita terrestre, che si possono verificare, e torna incontrastabile quando si manifestano alla vista nelle apparizioni. L’individualità dell’anima ci era insegnata in teoria come un articolo di fede; lo Spiritismo la dimostra in modo evidente e positivo.

Che si deve intendere per vita eterna?
La vita dello Spirito, poiché quella del corpo è transitoria e passeggera. Quando il corpo muore, l’anima rientra nella vita eterna.

Non sarebbe più esatto chiamare vita eterna quella degli Spiriti puri, che giunti al supremo grado di perfezione relativa, non hanno più prove da subire?
Quella sarebbe piuttosto la felicità eterna. Ma questa è sempre questione di parole; chiamate le cose come volete, purché riusciate ad intendervi.
Torna ai contenuti