162° Capitolo
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Domande agli Spiriti e relative risposte. - Da Allan Kardec
SPERANZE E CONFORTI - DOLORI E GIOIE D'OLTRETOMBA
162°Capitolo
Natura dei Dolori e delle Gioie d’Oltretomba
I dolori e le gioie dell’anima dopo la morte hanno qualche cosa di materiale?
Il buon senso dice di no, poiché l’anima non è materia. Quei dolori e quelle gioie non hanno niente di carnale, e tuttavia sono mille volte più vivi di ciò che provate sulla terra, perché lo Spirito disincarnato è più impressionabile, poiché la materia non ne attutisce più le sensazioni.
Perché mai l’uomo si fa spesso un’idea così grossolana ed assurda delle pene e dei godimenti della vita futura?
Perché la sua intelligenza non è ancora molto sviluppata. Il fanciullo comprende forse come l’adulto? D’altra parte, la cosa dipende anche da quello che gli hanno insegnato: è da lì che deve cominciare la riforma. Il vostro linguaggio difettoso non può esprimere ciò che è al di fuori di voi: quindi, occorsero paragoni, e voi prendeste immagini e figure per realtà; ma, a seconda che l’uomo s’istruisce, il suo pensiero comprende meglio le cose che la parola non riesce ad esprimere bene.
In che consiste la felicità dei buoni Spiriti?
Nel conoscere tutte le cose e nel non avere né odio, né gelosia, né invidia, né ambizione, né alcuna di quelle passioni, che fanno sciagurati gli uomini. L’amore che li unisce, è per essi fonte di suprema felicità. Non provano né i bisogni, né i patimenti, né le angosce della vita materiale. Gioiscono del bene che fanno, poiché la beatitudine degli Spiriti è sempre proporzionata alla loro elevatezza. Vero è che i soli Spiriti puri fruiscono della felicità suprema; ma nemmeno gli altri sono infelici: tra i malvagi e i perfetti c’è una infinità di gradi, in cui le gioie sono relative allo stato morale. Quelli che sono abbastanza progrediti comprendono la felicità degli altri, che li precedono, e aspirano ad essa; ma questo è per loro un motivo di emulazione, non di gelosia: sanno che dipende da essi l’arrivarci, e lavorano a questo fine con la tranquillità della buona coscienza, lieti di non avere a soffrire quanto soffrono i cattivi.
Voi ponete l’assenza dei bisogni materiali nel novero delle condizioni di felicità per gli Spiriti; ma la soddisfazione di questi bisogni non è, per l’uomo, cagione di piacere?
Sì, ma di piaceri animali, a parte che, quando non li potete soddisfare, soffrite crudeli torture.
Come bisogna intendere le frasi, che i puri Spiriti sono riuniti in grembo a Dio, ed occupati a cantarne le lodi?
Queste sono allegorie per esprimere che essi vedono e comprendono la perfezione divina; ma che non si devono prendere alla lettera, come molte altre. Tutto, nella natura, dal grano di sabbia al sistema di mondi, canta, vale a dire proclama la potenza, la saggezza e la bontà di Dio; ma non crediate che gli Spiriti beati stiano in eterna contemplazione; questa sarebbe una beatitudine stupida e monotona, e, peggio ancora, quella dell’egoista, poiché la loro esistenza riuscirebbe un’inutilità senza termine. Non più soggetti alle tribolazioni della esistenza corporea, il che non è poca felicità, conoscono e sanno tutte le cose, e mettono a profitto l’intelligenza acquistata nell’aiutare il progresso degli altri Spiriti: questa è la loro occupazione, che costituisce nello stesso tempo la loro felicità.
In che consistono i patimenti degli Spiriti inferiori?
Sono svariati come le cause che li produssero, e proporzionati al grado d’inferiorità, come sono a quello di superiorità i godimenti. Tuttavia, possono compendiarsi così: bramare tutto ciò che loro manca per essere felici, e non poterlo distinguere; vedere la felicità e non parteciparvi; rammarico, invidia, rabbia e disperazione di ciò che impedisce loro di essere avventurati; rimorsi, ansietà morale indefinibile. Hanno il desiderio di tutti i beni, ma non lo possono soddisfare, e ne sono torturati.
La vicendevole influenza degli Spiriti disincarnati è sempre buona?
Sempre buona quella dei buoni Spiriti, s’intende; ma gli Spiriti perversi cercano di distogliere dalla via del bene e del pentimento coloro che credono adatti a lasciarsi trascinare, e che spesso hanno trascinato al male durante la vita.
Dunque la morte non ci libera dalla tentazione?
No; ma l’ascendente dei cattivi Spiriti è molto minore sugli altri disincarnati che sugli uomini, perché quelli non si possono più sedurre con le passioni materiali.
E come tentano i cattivi Spiriti gli altri disincarnati, giacché a questo scopo non possono più servirsi delle passioni?
Giova distinguere: è vero che, per gli Spiriti, le passioni non esistono più materialmente; ma è vero anche che esse perdurano nel pensiero degli Spiriti volgari. Ora, i malvagi formentano quei desideri vani, trascinando le loro vittime nei luoghi, dove hanno lo spettacolo di queste passioni, e di tutto ciò che può eccitarle.
Ma a che pro quelle passioni, poiché non hanno più l’oggetto reale?
Perché servano di supplizio agli Spiriti rei: l’avaro vede dovizie che non può possedere; il dissoluto orge a cui non può prendere parte; l’orgoglioso onori, che invidia, ma non può godere.
Quali sono i maggiori tormenti, a cui possono essere condannati gli Spiriti malvagi?
Riesce impossibile descrivere le torture morali, che sono il castigo di alcuni misfatti: lo stesso Spirito che le prova, stenterebbe a darvene un’idea; ma di certo la più tremenda è la erronea sua persuasione di essere condannato a soffrire eternamente.
Kardec: Dei dolori e delle gioie dell’anima dopo la morte l’uomo si fa un’idea, più o meno elevata, secondo il grado della sua intelligenza. Quanto più egli si istruisce, tanto più quest’idea si purifica e si stacca dalla materia; egli comprende le cose sotto un aspetto più ragionevole, e cessa d’interpretare alla lettera le immagini di un linguaggio figurato. La ragione più illuminata, insegnandoci che l’anima è un essere spirituale, ci dice che essa non può andare soggetta alle impressioni che agiscono sulla materia; ma da questo non segue, che essa sia immune da sofferenze, né che sfugga alla punizione delle sue colpe. Le comunicazioni spiritiche ci dimostrano lo stato futuro dell’anima, non più come una teoria, ma come una realtà: mettendoci sotto gli occhi tutte le peripezie della vita d’oltretomba, queste comunicazioni ci provano che esse sono le conseguenze perfettamente logiche della vita terrestre, e, benché spoglie della veste fantastica creata dall’immaginazione dell’uomo, non sono per questo meno temibili e penose. La varietà di queste conseguenze è infinita; ma si può dire in generale, che ognuno è punito col suo peccato medesimo: quindi alcuni con la continua vista del male che hanno fatto; altri col rammarico, il timore, la vergogna, il dubbio, l’isolamento, le tenebre, la separazione dagli esseri amati e così via.
Da che è derivata la dottrina del fuoco eterno?
Da una immagine presa, come tante altre, per realtà.
E il timore che ispira, può produrre un buon effetto?
Vedete voi, e giudicate, se valga come freno anche per molti di coloro che la predicano. Chi insegna cose che la ragione più tardi rigetta, fa un’impressione che non è durevole, né salutare.
Kardec: L’uomo, impotente ad esprimere col suo linguaggio la natura delle sofferenze d’oltretomba, non ha trovato paragone più energico che quello del fuoco, poiché per lui il fuoco è il mezzo del più crudele supplizio e il simbolo dell’azione più gagliarda. Quindi, la credenza nel fuoco eterno risale alla più remota antichità, e i popoli moderni l’hanno ereditata dagli antichi; e quindi ancora nel loro linguaggio figurato dicono: il fuoco delle passioni, ardere d’amore, d’ira, di gelosia, e simili.
Gli Spiriti inferiori comprendono la felicità del giusto?
Sì, e questo costituisce il loro supplizio, giacché capiscono che ne sono privi per propria colpa. Perciò, lo Spirito, sciolto che sia dalla materia, aspira a nuove esistenze corporali, poiché ogni esistenza, se impiegata bene, può abbreviare la durata di quel supplizio. Allora sceglie le prove, con cui potrà espiare le sue colpe: poiché egli soffre di tutto il male che ha fatto, o del quale fu la causa volontaria, di tutto il bene che avrebbe potuto fare, ma non ha fatto, e di tutto il male venuto dal bene, che ha trascurato di fare. Lo Spirito errante non ha più cosa che gli faccia da velo: egli è come uscito fuori della nebbia, e scorge quello che lo allontana dalla felicità. Allora soffre molto di più, poiché comprende quanto è stato colpevole. Ogni illusione cessa per lui, che vede la realtà delle cose.
Kardec: Lo Spirito, nello stato erratico, da una parte abbraccia tutte le sue passate esistenze, e dall’altra vede l’avvenire promesso, e quindi comprende ciò che gli manca per conseguirlo. Così, un viandante, pervenuto al sommo di una montagna, vede e il cammino percorso e quello che gli resta da percorrere per arrivare alla sua mèta.
La vista degli Spiriti che soffrono, non affligge i buoni? E allora non ne scapita la felicità, perché offuscata?
Gli Spiriti buoni non se ne affliggono, perché sanno che quel male terminerà; porgono invece la mano ai sofferenti, e li aiutano a farsi migliori. Questo è per essi un compito e una gioia suprema, quando ci sono riusciti.
Quello che dite sta bene riguardo agli Spiriti estranei o indifferenti; ma la vista degli affanni e delle angosce di coloro che hanno amato in terra, non ne scema la felicità?
No, perché li considerano da un altro lato, e sanno quanto siano utili all’avanzamento di chi li sopporta con rassegnazione.
Dal momento che gli Spiriti non si possono nascondere reciprocamente i loro pensieri e gli atti della loro vita, ne segue che il reo è sempre al cospetto della sua vittima?
Il buon senso vi dice che non può essere altrimenti.
Questa conoscenza di tutti i nostri atti riprovevoli, e la continua presenza di coloro che ne furono le vittime, sono castighi per il reo?
Più grandi che non sembri; ma durano solo fino a che egli non abbia espiato le sue colpe, sia come Spirito, sia come uomo in nuove esistenze corporali.
Kardec: Allorché saremo nel mondo degli Spiriti, tutto il nostro passato diverrà palese, e quindi sarà anche manifesto il bene od il male che avremo fatto. Invano il malfattore vorrà sottrarsi alla vista delle sue vittime: la loro inevitabile presenza gli sarà punizione e rimorso, fino a che avrà espiato i suoi torti; mentre, al contrario, il virtuoso non incontrerà che sguardi benigni ed amichevoli. Già sulla terra per il malvagio non vi è maggior tormento che la presenza delle sue vittime, e quindi mette ogni cura nello sfuggirle. Ora, che accadrà, quando, dissipata la nebbia delle passioni, comprenderà il male che ha fatto, e vedrà svelati dinanzi a loro i suoi segreti, più intimi, e smascherata la sua ipocrisia? Così, mentre l’animo del perverso è in preda alla vergogna, al rimpianto, ai rimorsi, quella del giusto gode perfetta serenità.
Il ricordo delle colpe che l’anima ha potuto commettere mentre era imperfetta, non turba la sua felicità, quando si è fatta pura?
No, perché le ha riscattate uscendo vittoriosa dalle prove, a cui si era sottomessa con quel fine.
Le prove che le rimangono da subire per compiere la sua purificazione non cagionano all’anima una apprensione penosa, che ne offusca la felicità?
All’anima che può ancora peccare, sì, e quindi essa non può gioire di felicità perfetta fino a che non si sia purificata; ma a quella che è già elevata, il pensiero delle prove che deve ancora subire non è causa di affanno.
Kardec: L’anima, che è giunta ad un certo grado di purezza, fruisce della vera felicità: prova un senso di dolce soddisfazione; è lieta di tutto ciò che vede e di tutto quello che la circonda; il suo sguardo penetra oltre il velo dei misteri e delle meraviglie della creazione, e la perfezione divina le appare in tutto il suo splendore.
Il vincolo simpatico che unisce gli Spiriti dello stesso ordine, è per loro cagione di felicità?
L’unione degli Spiriti, che si uniscono nel bene, è per essi dolcissimo gaudio, perché non temono di vederla turbata dall’egoismo. Essi, nel mondo spiritico, formano famiglie di un medesimo sentimento e ne sono beati, come voi sulla terra vi unite per identità di tendenze, e godete di quell’accordo. L’affetto puro e sincero che sentono, e di cui sono ricambiati, è per loro fonte di felicità, che non teme né falsi amici, né ipocriti.
Kardec: L’uomo pregusta un saggio di tale felicità sulla terra, quando vi incontra anime con cui può stringersi in pura e santa unione. Ma nella vita superiore questo gaudio sarà ineffabile e senza limiti, perché v’incontrerà tutte anime simpatiche, il cui affetto non potrà essere raffreddato dall’egoismo. Tutto è amore nella natura; ma l’egoismo lo uccide.
Per lo stato futuro dello Spirito vi è differenza fra colui che in vita teme la morte, e colui che l’aspetta con indifferenza ed anche con gioia?
Sì, e può essere grandissima ma spesso si cancella innanzi alle cause di questo timore o di questo desiderio. A temerla, o ad invocarla, si può essere mossi da sentimenti assai diversi, e sono questi che hanno efficacia sullo stato dello Spirito. E’ chiaro, per esempio, che chi si augura la morte, perché ponga termine alle sue tribolazioni, mormora in certa guisa contro la Provvidenza e contro le prove che deve patire.
E’ necessario professare lo Spiritismo e credere alle sue manifestazioni per essere felici nell’altra vita?
Se fosse così, ne seguirebbe che tutti coloro i quali non ci credono, o non ebbero possibilità di convincersene, sono reietti: il che sarebbe assurdo. Null’altro che il bene procaccia la felicità avvenire, e il bene è sempre bene, qualunque sia la strada che ad esso conduce.
Kardec: La credenza nello Spiritismo aiuta l’uomo a migliorarsi, rischiarandogli le idee su certi punti dell’avvenire e affretta il progresso e degli individui e delle masse, perché dimostra loro quello che saranno un giorno: è dunque un punto d’appoggio, una luce che guida. Lo Spiritismo insegna a sopportare le prove con pazienza e rassegnazione, e distoglie dagli atti che possono ritardare la felicità d’oltretomba: in questo modo, contribuisce molto ad abbreviare la via; ma nondimeno, anche senza di esso vi si può arrivare.