165° Capitolo - Sapere

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165° Capitolo

Premesse > La Dottrina degli Spiriti > _D_ > Dolori e Gioie d'Oltretomba

di Allan Kardec
Domande agli Spiriti e relative risposte. - Da Allan Kardec

SPERANZE E CONFORTI  - DOLORI E GIOIE D'OLTRETOMBA
165°Capitolo

Durata delle Pene d’Oltretomba

La durata delle pene del colpevole nell’altra vita, è arbitraria o subordinata ad una legge?
Dio non opera mai a capriccio, e tutto, nell’universo, è retto da leggi, che ne manifestano la sapienza e la bontà.

Su che cosa si basa la durata delle pene del colpevole?
Sul tempo necessario per il suo miglioramento. Poiché lo stato di sofferenza o di felicità è proporzionato al grado di purificazione dello Spirito, la durata e la natura delle sue pene dipendono dal tempo, che egli mette ad emendarsi. Secondo che progredisce, e i suoi sentimenti si elevano, le sue pene diminuiscono o cambiano natura.

Allo Spirito sofferente il tempo sembra così lungo, o meno lungo come se fosse vivo?
Pare anzi più lungo, giacché nell’oltretomba il sonno non esiste più. Soltanto per gli Spiriti arrivati a un certo grado di purezza il tempo, se così posso dire, si cancella davanti all’infinito.

La durata delle pene dello Spirito potrebbe essere eterna?
Senza dubbio, se egli fosse eternamente cattivo; cioè se egli non si pentisse, né migliorasse mai, soffrirebbe eternamente. Ma Dio non ha creato alcun essere, perché sia condannato al male in perpetuo: tutti sono fatti del pari semplici ed ignoranti, tutti devono progredire in un tempo più o meno lungo, secondo la loro volontà. E questa può essere più o meno tarda, come ci sono fanciulli più o meno precoci; ma quando che sia, deve venire per irresistibile bisogno, che muove lo Spirito ad uscire dalla sua inferiorità, e ad essere felice. Quindi, la legge che regola la durata delle pene, è saggia ed equa per eccellenza, poiché la proporziona agli sforzi dello Spirito, che ha sempre il suo libero arbitrio. Qualora egli ne abusi, ne subisce le conseguenze.

Ci sono Spiriti che non si pentono mai?
Ce ne sono alcuni il cui pentimento è assai tardo; ma asserire che non si emenderanno mai sarebbe negare la legge del progresso, e pretendere che il fanciullo non possa mai divenire adulto.

La durata delle pene dipende sempre dalla volontà dello Spirito? Non ce ne sono che gli vengono imposte per un tempo determinato?
Ce ne sono anche di queste; ma Dio, che vuole solo il bene delle sue creature, accoglie sempre il pentimento, e il desiderio di migliorarsi non è mai senza frutto.

Se così è, le pene imposte non saranno mai eterne?
Interrogate il vostro buon senso, la vostra ragione, e chiedetevi, se una condanna ad una pena eterna per qualche momento di errore non sarebbe la negazione della bontà di Dio! E veramente, che cosa è mai la vita anche più longeva in confronto dell’eternità? Eternità! La comprendete bene questa parola? Patimenti, torture senza fine, senza speranza, per qualche passo falso! Il vostro criterio non aborrisce da un tale pensiero?

Che gli antichi abbiano veduto nel Signore dell’universo un Dio terribile, geloso, vendicativo, si capisce: nella loro ignoranza hanno attribuito alla Divinità le passioni degli uomini; ma quello non è il Dio dei cristiani, che colloca l’amore, la carità, la misericordia, l’oblío delle offese tra le prime virtù; potrebbe Dio non avere egli stesso le qualità, che impone a noi come un dovere? Non si contraddice chi vuole ascrivergli bontà infinita e vendetta senza fine? Dicono che egli anzitutto, è giusto, e che l’uomo non ne comprende la giustizia; ma la giustizia non esclude la bontà, e Dio non sarebbe buono, se condannasse a pene orribili, eterne, la maggior parte delle sue creature. Potrebbe, Egli, obbligare i suoi figli alla giustizia, se non avesse dato loro i mezzi di comprenderla? E del resto non è il sublime della giustizia accoppiata con la bontà il far dipendere la durata delle pene dagli sforzi del colpevole? In questo è la verità delle parole: A ciascuno secondo le sue opere.

Dedicatevi, con tutti i mezzi che sono in vostro potere, a combattere, a distruggere l’idea della eternità delle pene, sacrilega bestemmia contro la giustizia e la bontà di Dio, causa principale della incredulità, del materialismo e della indifferenza religiosa, che si sono diffuse fra gli uomini, fin da quando cominciò a svilupparsi la loro intelligenza. L’uomo, appena dissipate le tenebre del Medioevo, ne intuì la mostruosa ingiustizia, e non potendo accettare ora quella dottrina senza rinunziare alla ragione, la respinge sdegnoso, e spesso, insieme con essa, respinge lontano da sé quel Dio in nome del quale si pretende di imporgliela. Da qui i mali innumerevoli che vi sono piovuti addosso, e ai quali noi veniamo a rimediare. Il còmpito, che vi additiamo, non sarà troppo difficile, poiché tutte le autorità su cui si appoggiano i sostenitori di questa dottrina, si sono astenute dal pronunciarsi chiaramente intorno ad essa, e né i Concili, né i Padri della Chiesa hanno mai risolto questa grave questione. E’ vero che nei Vangeli ci sono parole che, prese alla lettera, potrebbero far credere che il Cristo abbia minacciato il colpevole di un fuoco inestinguibile, di un fuoco eterno ma non si è voluto comprendere che quelle parole sono simboliche, e che in esse non c’è proprio nulla che provi l’eternità delle pene. Il Cristo non poteva insegnare una dottrina che distrugge la giustizia e la bontà di quel Dio, che Egli ci impose di amare con tutto il nostro cuore.

Povere pecorelle smarrite! Sappiate distinguere il buon pastore, il quale, piuttosto che volervi bandire in eterno dalla sua presenza, vi viene egli stesso incontro per condurvi all’ovile.

Figli prodighi, lasciate il vostro volontario esilio, e rivolgete i passi verso la casa paterna. Il Padre vi stende le braccia, e non desidera altro che festeggiare il vostro ritorno in famiglia.

Vane logomachie! Non siete ancora paghe del sangue che avete fatto spargere? Vorreste riaccendere di nuovo i roghi? Si disputa sulle parole eternità delle pene, eternità dei castighi; ma non sapete dunque che per eternità gli
antichi intendevano ben altra cosa di quello che intendete voi? Il teologo consulti la radice del vocabolo, e scoprirà che il testo ebraico non dava a questa parola il significato di senza fine, di irremissibile, che acquistò poi nelle traduzioni fatte dai Greci, dai Latini e dai moderni. L’eternità dei castighi corrisponde all’eternità del male. Fino a che fra gli uomini esisterà il male, esisteranno i castighi: in questo senso si devono interpretare i sacri testi. Quindi l’eternità delle pene è relativa, non assoluta.

Venga presto il giorno in cui tutti gli uomini, pentiti, si rivestiranno della bianca stola dell’innocenza, e quel dì non più gemiti, non più stridore di denti. La vostra ragione è certamente limitata, ma tuttavia è il più grande dei doni di Dio, ed è gravissima colpa non farne uso. Ora, non è possibile che ci sia un uomo solo di buona fede e che faccia uso della ragione, il quale intenda in altro modo l’eternità delle pene.

Castighi eterni! Ma allora bisognerebbe ammettere l’eternità del male. Però ammettere che Iddio abbia potuto creare il male eterno, significherebbe negare il più magnifico dei suoi attributi, cioè la sua onnipotenza, giacché non può essere onnipotente chi è costretto a creare un elemento distruttore delle sue opere.

Figli dell’uomo, non volgete più gli sguardi affannosi negli abissi della terra, per cercarvi i castighi. Volgete gli occhi al cielo, piangete, sperate, espiate, e rifugiatevi nel pensiero di un Dio intimamente buono, sovranamente potente, essenzialmente giusto.

Giungere all’unione con Dio è la mèta ultima dell’umanità. Per raggiungere questa mèta sono necessarie tre cose: la giustizia, l’amore e la scienza. Tre cose opposte, invece ce ne allontanano: l’ignoranza, l’odio e l’ingiustizia. Ebbene, in verità vi dico: voi calpestate questi principi fondamentali, quando travisate l’idea di Dio con l’esagerazione della sua severità. Come ammettere, infatti, senza travisare l’idea di Dio, che possa esserci nella creatura maggiore clemenza, maggiore mansuetudine e più vera giustizia di quanta ce ne sia nel Creatore!

Non comprendete inoltre che, ostinandovi in questo assurdo, voi distruggete financo l’idea del vostro inferno, rendendolo ridicolo e inammissibile alle intelligenze, come è ripugnante ai cuori il sozzo spettacolo dei manigoldi, dei roghi, e delle torture del Medioevo!

E che? Ora che l’èra delle cieche rappresaglie è tramontata per sempre e bandita da tutte le legislazioni umane, sperereste forse di darle vita e poterla continuare, tenendo oppressa l’anima dell’uomo con l’orrore e lo sgomento di torture ideali?

Fratelli in Dio, credete a me, se non vi decidete a ravvivare i vostri dogmi, coi benefici efflussi che di questi tempi i buoni Spiriti, per volere di Dio, versano sulla terra, e vi ostinate a mantenerli inalterati e inalterabili, li vedrete andare in frantumi nelle vostre stesse mani.

L’idea dell’inferno con le sue fornaci ardenti e con le sue bollenti caldaie, poté avere una qualche efficacia ed essere perdonabile in secoli di ferro e in tempi di oscurantismo e di generale ignoranza; ma nel secolo decimonono è uno spauracchio che non atterrisce più alcuno, o tutt’al più un vano fantasma, buono a spaventare i bambini, che poi, fatti adulti, ne ridono, come del lupo mannaro. Persistendo in questa atroce mitologia, voi generate l’incredulità, fonte di dissoluzione sociale, poiché ogni ordine di società, senza una efficace sanzione penale, viene scosso, e vacilla, e finisce col precipitare nell’abisso dell’anarchia.

Orsù, dunque, uomini di fede ardente e viva, avanguardia della luce, all’opera!

Non si tratta di sostenere vecchie favole oramai screditate, ma di richiamare a nuova vita la vera sanzione penale
sotto forme adeguate ai vostri costumi, ai vostri sentimenti, ai lumi dei vostri tempi, e conformi ai dettami della
ragione.

Secondo la nuova dottrina, chi è il colpevole? Colui che, per un traviamento, per un falso impulso dell’animo, si scosta dalla mèta della creazione, la quale consiste nel culto armonico del bene, del vero e del bello, predicato con la Parola e con l’esempio dal più perfetto modello dell’umanità, Gesù.

Qual è poi il castigo che tiene dietro a questa colpa? - La conseguenza naturale di quel falso impulso, che lo ha fatto deviare dal sentiero che conduce alla mèta, cioè una somma di dolori necessaria per fargli aborrire la sua deformità morale. Questo è il pungolo che eccita l’anima a ripiegarsi sopra se stessa, e a desiderare la sua riabilitazione, la liberazione dalla schiavitù del male.

Pretendere che sia eterno il castigo di una colpa non eterna, significa togliergli ogni efficacia. In verità vi dico: cessate dal credere che possono essere ugualmente eterni il bene, che è essenza del Creatore, e il male, che è
contingenza della creatura. Affermate invece la cessazione graduale dei castighi e delle pene, a cui si giunge per mezzo delle reincarnazioni, e d’accordo con la ragione e col sentimento, farete cadere la barriera che l’ignoranza e la superstizione, non sempre in buona fede, hanno innalzato fra l’uomo e Dio.

Kardec: Si deve eccitare l’uomo al bene e distoglierlo dal male con l’allettamento delle ricompense e col timore dei castighi; ma, se quelle e questi gli si presentino in modo che la ragione ricusi di prestarvi fede perderanno ogni efficacia; non solo, ma egli rigetterà anche l’idea di quel Dio in nome del quale gli si presentano. Ove, al contrario, gli si mostri logicamente l’avvenire, piegherà la fronte e crederà. E lo Spiritismo gli dà questa spiegazione. La dottrina della eternità delle pene, nel senso assoluto, fa dell’Ente Supremo un Dio implacabile. Sarebbe logico dire di un monarca che è di eccezionale bontà, e benevolo con tutti ed indulgentissimo, e non vuole che la felicità dei suoi sudditi, e poi affermare al tempo stesso, che è geloso, vendicativo, inflessibile nel suo rigore, e punisce con l’estremo supplizio, per un’offesa od una infrazione delle sue leggi, i tre quarti dei suoi sudditi, anche quelli che trasgredirono le sue leggi per non averle conosciute? Non sarebbe questa una contraddizione evidente? Se questo non si può ammettere in un uomo, come ammetterlo in Dio?
Ma non basta. Poiché Dio sa tutto, non poteva ignorare nel creare un’anima, ch’essa avrebbe peccato e quindi l’ha condannata, fin dalla formazione, al supplizio eterno. Ma questo è impossibile, illogico, mentre con la dottrina delle pene relative, tutto è giustificato. Se Dio sapeva che essa avrebbe peccato, sapeva anche che avrebbe avuto i mezzi d’illuminarsi con la propria esperienza, e per mezzo delle sue stesse colpe. E’ necessario che l’anima espii le sue colpe per affermarsi meglio nel bene; ma la porta della speranza non le è mai chiusa per sempre, e Dio fa dipendere il momento della sua liberazione dagli sforzi che essa fa per meritarla. Ecco ciò che tutti possono comprendere, e che anche la logica più rigorosa può ammettere. Se le pene di oltretomba fossero state presentate sotto questo aspetto, si conterebbero molti scettici di meno.
La parola eterno è usata di frequente nel linguaggio comune impropriamente, per denotare una cosa materiale o morale di lunga durata, di cui non si prevede la fine, sebbene si sia persuasi, che questa fine esiste, e verrà. Diciamo, per esempio, i ghiacci eterni delle alte montagne, dei poli, quantunque sappiamo che, da una parte, il mondo fisico può finire e, dall’altra, che lo stato di quelle regioni può cambiare per lo spostamento normale dell’asse, o per un cataclisma.
Il vocabolo eterno, in questo caso, non vuol dire perpetuo sino all’infinito. Quando soffriamo di una lunga malattia, diciamo che il nostro male è eterno: qual meraviglia dunque, se Spiriti che soffrono da gran tempo, da secoli, da migliaia di anni, forse, dicano altrettanto? Inoltre, non si dimentichi che essi, poiché la propria bassezza non permette loro di scorgere l’estremità del cammino, credono di dover soffrire per sempre, il che costituisce una
parte della punizione.
Si noti da ultimo che la dottrina del fuoco materiale, delle fornaci e delle torture, rubate al Tartaro del paganesimo, oggi è totalmente abbandonata dall’alta teologia. Soltanto nelle scuole questi spaventosi quadri allegorici sono dati ancora come verità positive da uomini più zelanti che illuminati, e con quale danno, sa Iddio, poiché quelle giovani immaginazioni, rinvenute che siano dalla loro paura, accresceranno il numero degli increduli. La teologia moderna riconosce che la parola fuoco è adoperata come figura per esprimere un ardore morale. Chi, come noi, ha seguito, nelle comunicazioni spiritiche, le peripezie della vita e delle pene di oltretomba, si sarà potuto convincere, che queste benché non abbiano nulla di materiale, non sono per questo meno dolorose. Ed anche per riguardo alla loro durata, certi teologi cominciano ad ammetterla nel senso ristretto del quale abbiamo parlato, pensando che in realtà la parola eterno si può intendere delle pene in se stesse come effetti di una legge immutabile, e non della loro applicazione ad ogni colpevole. Il giorno in cui la religione ammetterà questa interpretazione come alcune altre, che sono del pari conseguenze del progresso dei lumi, ricondurrà all’ovile un grande numero di pecorelle smarrite.
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